Il transetto è la parte della chiesa che, al termine della navata, si allarga ai due lati dello spazio centrale sottostante alla cupola, formando il braccio orizzontale della croce cui corrisponde la pianta complessiva della chiesa. Le due testate del transetto si presentano come più ampie ed illuminate rispetto alle cappelle: dai finestroni della cupola e dalle grandi finestre dei lati si diffonde la luce del giorno, l’altezza è corrispondente a quella della navata (mentre le cappelle sono più basse) e lo spazio complessivo è di ampio respiro; per di più questa parte è vicina alla zona più importante della chiesa, il presbiterio, dove si celebra l’Eucarestia.

Particolare rilievo ed importanza anche liturgica dovevano perciò avere i dipinti collocati in queste due posizioni, ed in effetti vediamo i due altari dedicati alla Madonna: in quello di destra compaiono anche san Pietro (cui la chiesa è dedicata) e santa Gioconda (altra patrona della chiesa); in quello di sinistra è raffigurato  san Prospero (secondo dedicatario della chiesa) accanto a san Benedetto (come sappiamo, la chiesa faceva parte del complesso benedettino comprendente anche i chiostri).  I due grandi quadri esprimono in sintesi, oltre alla devozione per la Vergine, l’identità della chiesa in cui ci troviamo. Prima di descrivere i due dipinti, osserviamo che inizialmente la collocazione era scambiata. Infatti a destra vi è il monumento funerario di Jacopo Roberti, ossia di colui che aveva espresso nel suo testamento la volontà di far erigere un altare a san Benedetto.

Transetto destro: Madonna del Giglio

A prima vista si coglie una particolarità che distingue questa pala d’altare da tutte le altre: è un quadro molto grande che ne contiene un altro - come se fosse una piccola “finestra” con cornice celeste e bordi dorati  -  nel quale è raffigurata la Madonna col Bambino; quest’ultimo ha nella mano sinistra un giglio: da qui il nome di Madonna del Giglio. Ai lati di questa immagine vi sono due coppie di angeli che reggono candelieri: segno di una speciale devozione, oltre che mezzo per rendere più visibile l’immagine centrale.

Un’osservazione un po’ più accurata permette di vedere che il quadro più grande è mosso nelle varie figure che lo compongono, con colori luminosi, mentre la rappresentazione della Madonna col Bambino è piuttosto statica. Si può da questi elementi comprendere che le due parti della pala d’altare non sono state eseguite contemporaneamente. Infatti, l’immagine della Madonna fu portata a Reggio da un abate (il superiore dei benedettini), proveniente da Perugia, che non si era voluto separare da quell’immagine, ritenuta miracolosa e fatta oggetto di speciale venerazione. Nel 1637, quando ormai i lavori per la costruzione della chiesa erano al termine e si stava procedendo ad arricchirla con quadri e statue, si decise di fare eseguire un grande quadro nel quale inserire l’immagine della Vergine. Venne incaricato il pittore bolognese Giovanni Andrea Donducci, detto il Mastelletta, assai apprezzato e ormai in età avanzata. Questo è l’ultimo suo dipinto documentato, e forse, nella parte alta, intervennero gli allievi del maestro.  La tela fu eseguita a Bologna nella parte bassa, mentre la parte alta fu dipinta già nella posizione definitiva per adattarla all’immagine della Madonna. Vi è infatti tra quest’ultima e il quadro grande una relazione significativa: gli sguardi e i gesti dei personaggi in primo piano (san Pietro e santa Gioconda) si volgono alla Madonna, e gli angeli in volo circondano e sembrano sostenere il quadro con la Madonna e il Bambino.

Vediamo dunque in primo piano san Pietro, che addita ai fedeli la Vergine, e santa Gioconda che la contempla con devozione e con la mano destra indica sullo sfondo il profilo di una città: è Reggio, ben riconoscibile con il santuario della Madonna della Ghiara e la chiesa di san Pietro con la sua cupola. Fra i due santi ci sono due piccoli angeli, uno dei quali offre a santa Gioconda un ramo di giglio, simbolo di purezza e verginità. Dietro san Pietro, nell’angolo di sinistra in basso, spunta un terzo angelo che regge le chiavi, simbolo dell’autorità del santo.

La parte alta è animata da quattro grandi angeli ad ali spiegate che “sorreggono” l’immagine centrale. Tre piccole teste di angeli fanno capolino sotto la cornice del quadro interno; altri quattro angioletti, nella parte più alta, sostengono una corona che è posta in corrispondenza del capo della Vergine.

Nella parte più alta dell’ancona (la cornice monumentale che circonda la tela), si trova l’iscrizione latina “Mater puritatis”, in altre parole “madre della purezza”. L’iscrizione riassume dunque il carattere principale dell’altare della Madonna del Giglio. Vediamo ora di approfondire la conoscenza del quadro principale, cioè la Madonna col Bambino.

Questo piccolo quadro è stato a lungo considerato copia di un altro, di Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato, che riprende un modello diffuso nel Quattrocento. Ma recenti studi hanno dimostrato con ragionevole certezza che non si tratta di una copia, bensì di una seconda versione dipinta dallo stesso pittore, che a sua volta riprende un’antica immagine realizzata da Giovanni di Pietro detto lo Spagna, seguace di Perugino e di Raffaello. Questo spiega la differenza di stile rispetto al dipinto del Mastelletta.

La collocazione del quadro non permette di apprezzarne la bellezza e i particolari, che ora cerchiamo di descrivere.  Maria è seduta sotto un semplice arco (che coincide con la “finestrella” di cui si è detto), e tiene in piedi sulle sue ginocchia il Bambino Gesù in atto di benedizione. Maria ha una tunica di colore rosso chiaro, con una cintura a fiocco dorata, ed è rivestita di un mantello azzurro. Il suo capo, ornato di una corona, è circondato da dodici stelle (Apocalisse, 12), ed un’altra stella spicca sul mantello in corrispondenza della spalla destra. La stella, ovviamente, è simbolo di luce, e questa stella sulla spalla di Maria significa che ella porta nel mondo la luce, cioè Gesù. Il Bambino è di figura aggraziata (non è facile dipingere bene i bambini!), è nudo, porta anch’egli sul capo una corona ed è caratterizzato da tre sottili linee rosse al collo e ai polsi: sono una collana e due braccialetti di corallo, che col colore rosso sono chiari simboli della passione che Gesù dovrà patire. Il giglio che tiene nella mano sinistra, ben noto simbolo di purezza, è il “giglio di sant’Antonio”, candido e profumatissimo. 

Transetto sinistro: Madonna col Bambino, San Prospero e San Benedetto

Il grande quadro fu eseguito nel 1592 dal pittore Francesco Maria Codeluppi (del quale mancano altre notizie) secondo le disposizioni testamentarie espresse dal reggiano Jacopo Roberti. Come si è detto prima, esso all’inizio fu posto nel transetto destro, di fianco al monumento funebre dello stesso Roberti, e più tardi fu spostato al lato sinistro del transetto.

I personaggi sono disposti a piramide, secondo un modello molto diffuso nel Cinquecento. Al centro, la Madonna, seduta su una specie di trono sopraelevato su una base di marmo, offre il Bambino all’adorazione; dietro di lei un drappo bruno col rovescio rosa separa l’immagine celeste dal paesaggio dello sfondo. La stoffa è drappeggiata, con ricche pieghe tenute da tre piccoli angeli, al di sopra del gruppo Madre-Bambino. La Vergine, vestita secondo la tradizione con una tunica rossa e un mantello azzurro, porge Gesù all’adorazione verso la propria destra, mentre lei volge il capo verso sinistra. L’espressione è dolce ma seria.

Più in basso, due figure solenni, entrambe caratterizzate dal bastone ricurvo (il pastorale) che segnala tuttora la dignità dei vescovi e degli abati.

A sinistra, il vescovo san Prospero, vestito di ricchi paramenti liturgici, contempla la Vergine, e contemporaneamente addita il modellino della città di Reggio sorretto da un angelo. Il gesto esprime con evidenza la protezione richiesta dal santo patrono per la città. Egli sostiene nella mano sinistra un libro chiuso sul quale è posato un oggetto non facile da identificare. Potrebbe essere la mitria, cioè il copricapo tipico dei vescovi.

A destra, con l’abito nero caratteristico dei monaci del suo Ordine, san Benedetto volge lo sguardo ai fedeli e con la mano sinistra sostiene un libro aperto nel quale si leggono le parole latine “ausculta o fili praecepta magistri”, ovvero “ascolta, o figlio, gli insegnamenti del maestro”.

In primissimo piano, visibili solo a mezza figura, due personaggi della realtà contemporanea: i committenti, ossia coloro che avevano ordinato e finanziato l’opera: Jacopo Roberti e un frate della Casa della carità che ha operato seguendo le volontà espresse dal Roberti nel testamento.

Ritorniamo un momento sull’angelo che sostiene il modellino della città: che sia proprio Reggio e non una città generica è dimostrato dalla torre ottagonale della chiesa di san Prospero che si trova all’estrema sinistra. Osserviamo inoltre che l’angelo non ha le ali ed è in una posizione che dovrebbe essere piuttosto disinvolta e naturale, in contrasto con la solennità un po’ rigida dei due santi. Tuttavia, qualcosa nel quadro non è del tutto chiaro: se guardiamo con attenzione le mani che reggono la piccola città, ci rendiamo conto che quella più a sinistra non può appartenere all’angelo ma a un’altra figura che sembra accovacciata dietro il piano su cui si trova il modellino della città. La testa non si vede e anche la disposizione dei piedi che spuntano sotto una veste scura lascia qualche dubbio.

Alla sommità dell’ancona troviamo la scritta in latino: “Succurro cadenti”, cioè vengo in aiuto di chi cade, da una preghiera in lode della Madonna.

S.L.

 

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