Il presbiterio, cioè il luogo dei presbiteri (dal greco presbyter, ossia prete) è il luogo riservato al celebrante e al clero. Qui, fino a tempi recenti (Concilio Vaticano II, 1962-1965) il sacerdote celebrava la messa rivolto verso l’altare e solo in determinati momenti si girava verso i fedeli. Nella chiesa di San Pietro la riforma liturgica successiva al Concilio ha comportato l’aggiunta di un secondo altare mobile, perché l’altare principale, per la sua collocazione e grandezza, non permetteva che il sacerdote potesse spostarsi dietro di esso per celebrare la Messa rivolto al popolo.
Il presbiterio è dunque la parte della chiesa sulla quale converge l’attenzione dei fedeli durante la celebrazione e si presenta come la zona più luminosa e ricca di ornamenti. Termina con un’abside semicircolare, in cui si aprono due grandi finestre, e riceve luce anche dalla cupola. Si entra nel presbiterio salendo quattro gradini di marmo rosso, sopra i quali è posta una balaustra con pilastrini sagomati di marmo color avorio sormontati da un piano di marmo rosso. Al centro della balaustra si trova un cancello, della medesima altezza, di legno intagliato in modo fine ed elaborato. L’alternarsi dei colori rosso e avorio riprende l’aspetto cromatico presente nella pavimentazione e nella decorazione dei pilastri e delle pareti di tutta la chiesa: questo crea un’impressione di luminosità calda e armoniosa.
Ai due lati, in alto, vediamo due balconate uguali, di legno riccamente decorato da stucchi e dorature, con fregi e volute. A destra è collocato l’organo (del 1713, è opera pregevole di Domenico Traeri); a sinistra lo spazio potrebbe ospitare i cantori (il nome di queste “balconate” è infatti cantorìe). Colpiscono le colonne a torciglione, imitazione di quelle che in San Pietro a Roma sostengono il baldacchino sopra l’altare principale. Le due cantorie sono, come si è detto, molto riccamente ornate e comprendono alla sommità figure di angeli musicanti (a sinistra con il liuto, a destra con uno strumento a fiato nella mano destra e un libro di musica nella sinistra); alle estremità altri angeli, più piccoli, anch’essi in atto di suonare o cantare. Il tutto è un chiaro esempio dello stile barocco.
L’altare maggiore è opera di grande raffinatezza: quattro ripiani sovrapposti, con la parte frontale di legno interamente intagliato (quasi traforato) e rivestito di lamina d’oro. Sotto la mensa dell’altare, di marmo rosso, si trovano tre urne dello stesso marmo contenenti le spoglie di santa Gioconda, san Venerio e del beato Tommaso vescovo di Reggio. (Santa Gioconda e san Venerio sono compatroni di Reggio, insieme a san Prospero, e le loro statue si trovano sulla facciata della Cattedrale). Al centro si trova il tabernacolo, esso pure riccamente ornato. Sopra l’altare, sei candelabri di legno rivestito d’argento, analoghi alla base del Crocifisso, posto al centro.

Nell’abside, ossia lo spazio semicircolare di fondo, si trova il coro con gli stalli (sedili) che un tempo ospitavano i monaci. Fra il coro e la parte posteriore dell’altare è collocato un alto e grande leggìo, detto “badalone”. Tra le cantorie e le finestre vi sono due grandi statue raffiguranti i santi cui la chiesa è intitolata. A sinistra Pietro, a destra Prospero col pastorale da vescovo. Al centro dell’abside, tra le finestre, si trova la pala d’altare, un dipinto molto grande che rappresenta la Trasfigurazione. Anche l’ancona, ossia la cornice che lo racchiude, è lavorata a volute e ghirlande, stuccata e dorata come le cantorie. Alla sommità si trovano le insegne papali, ovvero il triregno (alta mitria decorata) e le chiavi.
Il grande quadro, attribuito al pittore Camillo Gavassetti (modenese, attivo in varie città emiliane e, a Reggio, nel santuario della Ghiara) ed eseguito tra il 1624 e il 1630, rappresenta quello che narrano i Vangeli di Matteo, Marco e Luca. Rileggiamo l’episodio nel testo di Marco (9, 2-8):

Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!”. Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: “Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!”. E subito, guardandosi intorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.

Nel quadro riconosciamo infatti tre piani distinti: in basso ci sono tre uomini (il più anziano, a sinistra, è Pietro; in basso a destra, col libro che allude al suo Vangelo, Giovanni) con gesti che dimostrano una forte emozione ; nel centro, la grande figura di Gesù, vestito di bianco e col capo circondato da un’aureola luminosa, e un altro personaggio, che mostra la tavola di pietra che sostiene: è certamente Mosè con le tavole della Legge. In mezzo, più indietro, una terza figura: il profeta Elia. Nel piano più alto, nuvole scure tra le quali spuntano angeli.

La scena è dominata dalla figura severa e maestosa di Gesù, che con la mano destra indica il cielo; le reazioni dei tre apostoli ci fanno pensare che si sia appena udita la voce del padre dall’alto dei cieli.
L’abside è sormontata da una volta semisferica (catino absidale), decorata da un’opera piuttosto recente (1939) del pittore cittadino Anselmo Govi. La scena rappresenta il momento in cui Pietro afferma che Gesù è figlio di Dio e Gesù risponde attribuendo a Pietro il suo ruolo primario fra gli apostoli. I gesti di Gesù e di Pietro, al centro, sono eloquenti. Per di più, le parole scritte a lettere dorate nelle due fasce sottostanti dicono (in latino):

Tu sei il Cristo, figlio del Dio vivente          e

Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e ti darò le chiavi del regno dei cieli.

(Vangelo di Matteo, cap. 16, 16-18).

Ai due lati stanno tutti gli altri apostoli che assistono a questo momento solenne. Verso sinistra si riconosce Giuda, vestito di una tunica nera e col capo non rivolto verso Gesù ma girato dall’altra parte e un po’ nascosto. Lo sfondo è rappresentato con le linee semplici di un paesaggio collinare.
Il medesimo pittore è anche l’autore dei dipinti posti negli spicchi della cupola, dove sono raffigurate scene della vita di san Pietro e di san Prospero. Il cupolino, ossia la piccola volta della parte più alta della cupola, che rappresenta il Padre Eterno fra angeli, è invece probabilmente dello stesso Gavassetti autore della pala della Trasfigurazione.

S.L.

 

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