La prima cappella a sinistra mostra evidenti analogie con la corrispondente cappella di destra: entrambe hanno ancone (cornici) di forma architettonica, adornate ai lati da figure scolpite. Ancone analoghe non si riscontrano nel resto della Chiesa, e la simmetria si spiega con il fatto che l’autore è il medesimo, ossia il reggiano Paolo Emilio Besenzi (1608-1656). Ma vi è un’altra ragione di simmetria, e per capirla occorre risalire alla vicenda rappresentata nel grande quadro, anch’esso opera dell’artista Besenzi.

I santi Placido e Flavia vissero nel sesto secolo dopo Cristo. Placido, insieme a Mauro, fu fin dall’infanzia discepolo di san Benedetto e venne salvato in modo miracoloso dall’annegamento grazie a Benedetto e Mauro; ancora molto giovane, divenne abate del monastero presso Messina.  Il quadro rappresenta la sua tragica fine, che avvenne quando aveva solo venticinque anni, secondo la narrazione di un presunto testimone diretto, il monaco Gordiano. Questa narrazione in realtà è stata composta dopo il Mille, quando si cominciò a venerare Placido non più solo come abate ma come martire. Placido, si narra, aveva ricevuto nel monastero di Messina, di cui era abate, la visita dei fratelli minori Flavia, Eutichio e Vittorino, quando dei pirati saraceni (ossia arabi) sbarcarono sulla costa e  assaltarono il monastero con l’intenzione di depredarlo anche degli oggetti sacri per il culto, e di far abiurare i monaci. Placido oppose una ferma resistenza e manifestò con coraggio la propria fede. Così pure la sorella Flavia e i due fratelli. Intanto altri monaci venivano uccisi brutalmente. Pur di fronte alla strage che si stava compiendo, Placido e i tre fratelli rimasero saldi nell’assoluta fedeltà al Cristianesimo e andarono incontro al martirio.

Se teniamo presente che nella disposizione originaria delle cappelle il quadro dedicato a san Mauro era sul primo altare a destra, ci rendiamo conto della ragione non soltanto estetica della somiglianza tra le due prime cappelle della chiesa. Chi entrava aveva subito modo di incontrare , attraverso i dipinti, due figure fondamentali dell’Ordine benedettino, Mauro a destra e Placido a sinistra   (mentre l’altare di san Benedetto si trova nel transetto sinistro, quindi in posizione di grande rilievo, vicino al presbiterio e all’altare maggiore). Tutto ciò si spiega ovviamente con l’appartenenza della chiesa al complesso benedettino comprendente anche il convento con i due bellissimi chiostri. Lo scambio, sopravvenuto alcuni decenni dopo, tra l’altare di san Mauro e quello di santa Giulia non permette più di afferrare questa impostazione iniziale, piena di significato.

Osserviamo ora la grande tela che rappresenta il martirio di Placido e Flavia. La parte alta, come in tanti altri quadri, mostra la Madonna con il Bambino affiancata da due santi: san Paolo, contraddistinto dalla spada e dal libro (le Lettere), e santa Caterina d’Alessandria, con la mano destra appoggiata su un frammento della ruota chiodata che fu lo strumento del suo martirio. Lo sguardo di tutti è rivolto verso la scena nella parte inferiore. Tre piccoli angeli in volo, che portano due rami di palma e due corone, destinate ai martiri, sembrano dirigersi verso la terra. La parte inferiore della tela vede al centro Placido, vestito dell’abito nero caratteristico dei benedettini, con lo sguardo rivolto al cielo, mentre è afferrato per i capelli dal carnefice, raffigurato con tratti che ne sottolineano la provenienza straniera (i lineamenti duri, i grossi baffi, lo strano ciuffetto al sommo della testa, la muscolatura in evidenza). Alla scena assiste con indifferenza, tenendo la mano sul fianco, un personaggio in ricca veste, con un turbante piumato: il capo dei pirati. Alle sue spalle si vedono altri saraceni, pure caratterizzati dal turbante.

In primissimo piano, il vertice tragico della vicenda e del quadro: un corpo parzialmente svestito, riverso in avanti, di cui si vede il collo tagliato : la testa di Flavia è rotolata lì accanto, proprio sul margine del quadro. Un ultimo particolare: fra le gambe divaricate del carnefice si intravedono altri cadaveri, tra i quali si muovono dei pirati sullo sfondo delle loro tende.

Il martirio dei santi Placido e Flavia non è un soggetto molto frequente nella pittura sacra. C’è un precedente illustre in un’opera del Correggio, ora alla Galleria Nazionale di Parma. Però l’impostazione del quadro è tutta diversa: santa Flavia è ancora viva, apre le braccia e volge gli occhi al cielo in accettazione del martirio, mentre già la spada del carnefice sta per trafiggerla, (non decapitarla).

La sommità dell’ancona, in analogia a quella che la fronteggia, presenta la statua allegorica della Speranza, contraddistinta dall’ancora appoggiata al suo fianco destro.

L’opera del Besenzi nella chiesa di San Pietro non si esaurisce in questo altare e nell’ancona di quello di santa Giulia. Come scultore ha compiuto la efficace rappresentazione del Cristo risorto sul soffitto della sagrestia, nonché le imponenti statue di san Pietro e san Prospero nelle nicchie ai lati dell’altar maggiore e le figure a rilievo nei pennacchi della cupola, cioè nei triangoli curvilinei che raccordano i pilastri alla cupola stessa.

S.L.