La prima cappella a destra ospita una grande pala d’altare dedicata a Santa Giulia e a san Cristoforo. I due santi non hanno alcuna relazione tra loro, come si ricava dalle loro biografie.

Santa Giulia, della quale si hanno poche notizie, era una nobile cartaginese del V secolo, divenuta schiava. Secondo una “Passione” scritta nel VII secolo, una nave che trasportava molti schiavi, tra cui Giulia, fece naufragio presso la Corsica. Per salvarsi, i naufraghi fecero sacrifici agli dei pagani; tutti, meno Giulia, sebbene il governatore dell’isola le avesse offerto la libertà in cambio dell’abiura al cristianesimo. Dopo violenze e torture, Giulia fu crocifissa e gettata in mare. Due monaci dell’isola di Gorgona trovarono in mare la croce con il suo corpo, al quale diedero sepoltura. Vi sono anche altre versioni; in ogni caso resta il legame con la Corsica (di cui Giulia è patrona). Nel 762  il corpo fu trasportato a Livorno e infine a Brescia, dove fu dedicato a santa Giulia un grande monastero.

San Cristoforo viene identificato con un martire dell’Asia Minore, ucciso durante la persecuzione del III secolo, e da allora venerato in numerosi luoghi sia dell’Europa occidentale sia dell’Oriente cristiano.  Nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine (scritta nel Duecento) si narra che Cristoforo era un giovane di corpo gigantesco che decise di mettersi al servizio del signore più forte che esistesse. Avendo appreso che è Cristo il Signore più potente, volle prepararsi al battesimo compiendo atti di carità: abitava vicino a un fiume e aiutò quindi tante persone ad attraversarlo. Una notte, il suo aiuto fu chiesto da un bambino; Cristoforo se lo caricò sulle spalle ed iniziò ad attraversare il fiume. Mentre lo faceva, però, il peso sulle sue spalle diventava sempre più grande, e solo con fatica, aiutandosi con un grosso bastone, Cristoforo riuscì a raggiungere l‘altra riva. Qui, il bambino si rivelò come Gesù, e gli predisse il martirio. Forse la leggenda nasce dal nome stesso (Cristoforo significa portatore di Cristo); in ogni caso, il santo continua ad essere venerato in particolare da chi viaggia.

Come si è detto all’inizio, perciò, nulla collega i due santi, né storicamente né simbolicamente.

Il quadro che noi vediamo è stato dipinto nel 1623 dal modenese Camillo Gavassetti, autore anche della grande pala della Trasfigurazione e dell’immagine del Padre Eterno nel cupolino che corona all’interno la cupola. L’opera è stata compiuta su disposizione testamentaria della signora Giulia Valestri Ferrari, che volle un altare dedicato alla sua santa protettrice, appunto santa Giulia.

La santa è rappresentata inchiodata sulla croce (fatta di due rozzi tronchi d’albero), ancora viva, con lo sguardo proteso verso il cielo, dove si intreccia un affollato volo di piccoli angeli, due dei quali portano una corona di fiori e dei gigli (simboli del martirio e della purezza). Ai piedi di Giulia e verso destra si vede un paesaggio: l’acqua del mare in primo piano, e più in distanza alberi e monti, avvolti nella luminosità del cielo.

Ma il paesaggio non è più visibile nella sua ampiezza originaria, perché sulla destra è stata inserita, circa 60 anni dopo, l’immagine di san Cristoforo, del pittore reggiano Girolamo Massarini. L’acqua del mare di Corsica è “diventata” il fiume attraversato dal santo, la cui figura appare compressa in uno spazio limitato. Egli guarda il bambino sulla sua spalla, che a sua volta indica il globo con la   croce, simbolo del mondo su cui Cristo regna. La difficoltà di inserire queste nuove figure nel quadro preesistente è dimostrata, oltre che dalla sproporzione rispetto a santa Giulia, dal fatto che il piede di un angelo sfiora il Bambino.

Il quadro è racchiuso in una ancona (cornice) di stucco particolarmente ricca ed elaborata. Ai lati spiccano due grandi angeli, e alla sommità si trova la figura allegorica della Fede che solleva il calice. La scritta latina dice: “Dat mercedem sustinentibus”, ossia”dà una ricompensa a coloro che la/lo sostengono”.  Come soggetto possiamo intendere la Fede, ma anche, e forse meglio, Cristo stesso. L’ancona, come un’altra simile nella prima cappella di sinistra, è opera di Paolo Emilio Besenzi, autore anche di un Cristo risorto che orna il soffitto della sagrestia.

S.L.

 

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