La seconda cappella a sinistra della chiesa di San Pietro è dedicata all'arcangelo San Michele.
Gli arcangeli (dal greco: capi degli angeli, e gli angeli sono i messaggeri di Dio) secondo la tradizione ebraica sono sette, mentre la chiesa cattolica ne riconosce tre: Gabriele, Raffaele, e appunto Michele. Il più conosciuto è probabilmente Gabriele, l'angelo che annuncia a Maria che diventerà madre di Gesù. Il culto di Michele, tuttavia, è diffuso in molte parti d'Europa dove gli sono dedicati importanti santuari.
L'arcangelo Michele (il cui nome significa "Chi è come Dio?") nella Bibbia è l’opposto di Lucifero, capo degli angeli che decisero di fare a meno di Dio e perciò precipitarono nell'Inferno.
Nell'Antico Testamento leggiamo:
"In quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro". (Daniele 12,1)
E nel Nuovo Testamento:
"Scoppiò dunque una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli". (Apocalisse 12, 7-9)
Questo brano segue l'immagine della donna vestita di sole, che dà alla luce un bambino sul quale si avventa il drago per cercare di divorarlo.
E' dunque ben chiaro che sia il profeta Daniele, sia Giovanni, autore dell'Apocalisse, attribuiscono a Michele una grande potenza, capace di vincere il demonio e di proteggere, come può fare un gran principe, il popolo di Dio.
Ora osserviamo il quadro che ci sta di fronte, posto in una ricca ancona intagliata e dorata. E' opera del pittore bolognese Pietro Desani (1595-1657), che per varie chiese di Reggio ha dipinto molti quadri, fra i quali questo "San Michele" è considerato uno dei più riusciti. Al centro campeggia la grande figura dell'arcangelo, piena di movimento: le gambe sospese e parzialmente piegate nel volo, le vesti, sottolineate dai colori vivaci (giallo, rosso, blu, azzurro), agitate dal vento, le braccia impegnate nel rimettere la spada nel fodero, le ali aperte (l'ala destra si vede solo di scorcio, mentre la sinistra si vede nella sua ampiezza). Il corpo mostra una lieve torsione, che si accentua nel volgersi del capo verso l'alto a sinistra. Nell'angolo in alto a sinistra sono infatti raffigurati la Madonna e il Bambino, circondati da angioletti. E' verso questa scena celeste che si volge lo sguardo dell'arcangelo.
Al di sotto di questa grande e colorata figura in volo c'è una scena del tutto diversa, che si svolge sicuramente sulla terra, anzi a Roma: al centro c'è un fiume, in fondo a sinistra un imponente edificio che possiamo riconoscere come il Mausoleo fatto costruire dall'imperatore Adriano nel 125 d.C., accanto al quale un ponte, che c'è ancora, scavalca il Tevere. Sulla destra, lungo il fiume, c'è una lunghissima processione di figure che a prima vista sembrano tutte uguali. Osservando meglio, vediamo che tra quelle più vicine a noi c'è il papa, che si distingue dal copricapo ("Triregno"; ora non è più usato). Poi c'è una lunga fila di vescovi, anch'essi caratterizzati dal copricapo, la mitra, tuttora in uso. Infine, più lontani, altri meno distinguibili. Un'altra processione arriva da destra, dietro una semplice chiesetta.
Non deve sfuggire un particolare drammatico: sulle due rive del Tevere giacciono i corpi di moribondi o morti.
Il titolo completo del quadro, che si ricava dai documenti, ci aiuta a capire il significato di tutto questo: "La processione di San Gregorio Magno per la cessazione della peste, con la Vergine, il Bambino e san Michele arcangelo che ripone la spada nel fodero". Si tratta dunque di un fatto storico. Nella Vita di papa Gregorio I (eletto papa nel 590, morto nel 604) riportata dalla Leggenda aurea di Jacopo da Varagine (Varazze) scritta nel sec. XIII, si narra che durante una tremenda pestilenza, al termine di una processione con il canto delle litanie istituita dal papa intorno alla città di Roma, Gregorio vide apparire sul Mausoleo di Adriano San Michele che deponeva la spada nel fodero, segno che le preghiere erano state ascoltate e che la terribile epidemia sarebbe cessata. Per commemorare l'episodio sulla sommità del monumento, da allora in poi chiamato Castel Sant'Angelo, fu eretta una statua raffigurante l'arcangelo.
Il quadro risale al 1627, qualche anno prima del periodo in cui gran parte d'Italia e d'Europa fu colpita dalla peste, una malattia contro la quale non vi era allora nessuna cura e che veniva spesso interpretata come punizione divina per i vizi del popolo. Nel 1630 la peste toccò anche Reggio. Si può quindi fare l'ipotesi che la nostra grande pala d'altare dedicata a San Michele, oltre a ricordare un episodio di più di mille anni prima, sia stata oggetto di una devozione particolare in occasione di quella pestilenza, ossia la peste detta anche "manzoniana" perché narrata dal Manzoni nei Promessi Sposi.
Nello stesso periodo Pietro Desani dipinse anche il "Martirio di Santa Lucia", che allora venne posto su una parete della cappella di San Michele. Ora il quadro è sulla controfacciata, al di sopra della porta d'ingresso in chiesa. La collocazione molto in alto e la scarsa illuminazione rendono il quadro purtroppo poco visibile.
Ma torniamo alla cappella di san Michele. La volta è decorata da tre medaglioni, dipinti da Sebastiano Vercellesi, all'incirca contemporaneo di Desani. In essi, il pittore raffigura tre episodi importanti riferiti a san Michele. Il medaglione di destra mostra San Michele che sottomette Lucifero, stringendolo in catene. Al centro, la sconfitta del demonio: si vede chiaramente la testa del diavolo con le corna, rovesciata all'ingiù, che sembra uscire dal quadro. E' un evidente richiamo al racconto dell'Apocalisse, sopra citato, in cui Michele fa precipitare dal cielo Lucifero e gli altri angeli ribelli. L'altro medaglione non si ispira alla Bibbia ma alla tradizione e rappresenta un intervento miracoloso avvenuto nel V secolo d.C. nella zona del Gargano (dove vi è un culto particolarmente vivo per l'arcangelo e un paese si chiama appunto Monte Sant'Angelo). Vediamo in primo piano un toro. (Non ha niente a che fare col bue che simboleggia l'evangelista Luca). Un ricco possidente aveva perso il toro più valido della sua mandria e lo cercava dappertutto, finché lo vide dentro una grotta. Poiché l'animale non voleva uscire da lì, il padrone infuriato gli scagliò contro una freccia. Questa però cambiò direzione, tornò indietro e colpì l'uomo a una gamba. Allora egli, pensando a un intervento demoniaco, raccontò tutto al vescovo. Tre giorni dopo, al vescovo apparve San Michele, che spiegò: Io sono l'Arcangelo Michele, e sono sempre alla presenza di Dio. La grotta è a me sacra ed io l'ho scelta. Non ci sarà più spargimento di sangue di animali. Dove si apre la roccia il peccato dell'uomo potrebbe essere perdonato. Ciò che è stato richiesto in preghiera sarà concesso. Perciò risalite la montagna e consacrate la grotta al culto cristiano.
In sintesi: San Michele è rappresentato come vincitore del demonio, della peste, dei nemici; San Michele è un principe potente, che tuttavia – guardiamo di nuovo la pala d'altare e seguiamo lo sguardo dell'arcangelo – opera esclusivamente al servizio di Dio.

S.L.

 

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