Parlare della vita e dell’innegabile valore di ogni vita può all’apparenza sembrare argomento facile. In effetti se parlo di giovani vittime di incidenti stradali o sul lavoro; oppure vittime di guerre o atti terroristici. Di naufragi o altre disgrazie che possono colpire l’umanità, posso suscitare un ondata di emotività e creare consenso.
E fondamentalmente tutti saremmo d’accordo sulla necessità di trovare soluzioni per guarire queste piaghe che lasciano ferite sanguinanti nel cuore di tante persone.
Ma se parlando dell’innegabile valore della vita mi spingo un po’ più in la e parlo di ogni vita dal suo concepimento fino alla morte, improvvisamente tutto cambia. Trovare unanime consenso diventa impossibile. Il rischio è lasciarsi trascinare in logoranti dibattiti dove ognuno difende il proprio irrinunciabile punto di vista che nessuno può contestare.
Difendere le proprie ragioni. Ma fondate su quale principio?
L’autodeterminazione? Ossia, decido io che cosa è bene per me.
Il rispetto per l’altro? Cioè permettere all’altro di fare ciò che ritiene bene, preoccupato di ostacolare la sua libertà se manifesto il mio parere contrario? Ma così facendo divento complice del male commesso dall’altro.
“Decido secondo la mia coscienza”. D’accordo. Ma cosa è e come si è formata la tua coscienza? Leggo testualmente dal Catechismo “la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria” (CCC1795).
Ma sempre nel catechismo leggo “ Messa di fronte a una scelta morale, la coscienza può dare sia un retto giudizio in accordo con la ragione e con la legge divina, sia, all’opposto, un giudizio erroneo che se ne discosta” (CCC 1799).
Pertanto la coscienza non è una facoltà indipendente e infallibile. La coscienza può errare.
Da qui la necessità per la coscienza di essere educata verso il vero bene. Per il cristiano volgersi verso il bene significa volgersi verso Cristo per avere da Lui la risposta su ciò che è bene e ciò che è male. Lui che è “via, verità e vita” (Gv 14,6). Pertanto dovere di ogni credente è formare la propria coscienza morale sulla Parola di Dio. “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119,105)
E per noi cristiani, un grande aiuto per la formazione della coscienza lo troviamo nella Chiesa e nel suo Magistero, cioè nel suo insegnamento.
Ora possiamo comprendere perché san Paolo sia così preoccupato e senta come dovere a cui non può rinunciare, annunciare il Vangelo. Annunciare Gesù Cristo.
In una lettera inviata al suo discepolo, Timoteo, nell’esortarlo a seguirne l’esempio, sottolinea le motivazioni di tale esigenza.
Scrive infatti: “Ogni scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia [pertanto, continua] Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci e rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento. Verrà giorno infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro le favole” (2Tm 3,16-17; 4,2-4).
Ammonisci. Rimprovera. Esorta. Sempre però con magnanimità.
Cioè senza costrizione e sempre con rispetto verso le persone anche se non la pensano come te.
Certo, è sempre più difficile argomentare su temi che toccano la nostra coscienza e ammonire è interpretato come intrusione indebita, impedimento all’esercizio della libertà del singolo.
Ma ammonire non è giudicare. Ammonire è un gesto di carità e tutti ne abbiamo bisogno. Ammonire, ma soprattutto – anche per noi stessi – accettare di essere ammoniti è consapevolezza di non essere autosufficienti. Ammonire non è liberarsi dell’altro con un giudizio sul suo operato, ma legarsi a lui, aiutarlo a leggere il peso delle sue scelte e come queste un domani possano incidere sulla sua vita. Ammonire significa volere il bene dell’altro.
Non a caso la tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di “ ammonire i peccatori”. È importante recuperare questa dimensione della carità cristiana.
Ora può sorgere una lecita domanda: “Se la coscienza è il nucleo più segreto dell’uomo e in essa risuona la voce di Dio, come può l’uomo sbagliare nelle sue decisioni? (cfr CCC1795).
Questo per quanto abbiamo detto prima. La coscienza non è una facoltà indipendente e infallibile ma è come un organo vitale del nostro corpo. Certo, un organo spirituale, che va formato ed educato. Ho l’impressione che oggi più che ad educare si tenda ad addomesticare la coscienza, per renderla disponibile a seguire il pensiero dominante. Ciò che pensa la maggioranza e attira consenso. Non si ascolta la voce di Dio, ma la voce del mondo che come l’irresistibile canto delle sirene ci attira verso gli scogli per lasciarci poi in balia delle onde, senza punti di riferimento, destinati al naufragio.
Così può accadere che un giorno la coscienza possa inaspettatamente rimproverarci per scelte compiute nel passato che ora, non più condivise, sono fonte di sofferenza.
Ma quand’anche questo dovesse accadere, ecco il soccorso di una mano tesa. La mano di Gesù. Una mano tesa per rialzarci dalla sofferenza. Una mano tesa per sanare il senso di colpa che opprime il cuore e impedisce di aprirsi ad una nuova vita riconciliati con sé stessi e con gli altri.
Pierangelo Roncalli